Lourdes Giovani 2015 – Fuso Orario diverso

Pubblicato giorno 29 giugno 2015 - Estate, Giovani

Genova – Lourdes. 925 km. In pullman, circa 12 ore di viaggio. Tra Genova e Lourdes non c’è differenza di fuso orario, eppure mi sembra di dover ricuperare un po’ di jet lag: il viaggio in pullman non è il massimo della comodità, che va a sommarsi a cinque giorni di ritmi serrati, veglie notturne e risvegli mattutini prima del tempo. Ma in un paio di giorni al massimo, tutto torna alla normalità.

Ma c’è un altro sfasamento ben più significativo che invece vorrei non perdere: appena ho rimesso piede a Genova, mi sono sentito come su un altro mondo. In questo mondo domina la forza, a Lourdes la debolezza. Qui c’è al centro il PIL e la produttività, lì l’importanza della persona. Qui passiamo molto tempo seduti, davanti ad uno schermo o con gli occhi fissi sul cellulare, là siamo sempre in cammino e a contatto con le persone. Qui non ci accorgiamo di ciò che abbiamo, là come per miracolo ne diventiamo immediatamente consapevoli. Qui siamo spesso chiusi in noi stessi, lì aperti verso gli altri e verso Dio.

Come di un altro pianeta sono le parole di Maria (nome di fantasia): “Da piccola ho avuto la poliomielite, che mi ha sempre dato problemi, ed oggi mi costringe su questa carrozzella”. Me lo confida spontaneamente, mentre le foto che ha portato fanno il giro di tanti mani ed occhi stupiti: al centro lei, intorno qualche amico e Fabrizio De André! Quegli scatti in bianco e nero sono un tesoro prezioso, ma non li tiene al sicuro in cassaforte: con un sorriso lievemente pennellato di orgoglio li mostra a tutti. “Maria, dove vivi?”. “A Genova, un po’ in collina, da sola. Ultimamente mi è stato diagnosticato anche un po’ di Parkinson. Ho detto a Dio che va bene così, tanto io sono già abituata a questi problemi. Va bene così, Signore, hai fatto bene: per altre persone sarebbe un dramma, per me è solo un piccolo problema in più”. A prima vista, a Maria non daresti un centesimo. E infatti è lei che, appena ho incrociato il suo sguardo distanza ravvicinata, mi ha subito sorriso e dato la mano, chiedendomi come mi chiamo, sciogliendo in un attimo quella paura, a volte confinante con un più o meno inconscio senso di colpa, che spesso abbiamo quando incontriamo chi è meno fortunato di noi.

Sorrisi dell’altro mondo sono anche quelli di Davide. Non dice una parola, ma sorride di gusto ai giovani che sono attorno a lui. Quando invece mi avvicino per toccargli la mano, il suo sorriso per un attimo si attenua, e il suo sguardo si rivolge ad un porto più sicuro. “Non ti conosce ancora, è per quello che fa così. Vedrai che piano piano…”. E infatti l’ultimo giorno regala anche a me la sua felicità sincera. Non si muove, è sempre sulla carrozzella, braccia e mani ripiegate, le gambe flesse. Comunica con il volto e con la bocca: allegria, preoccupazione, perplessità, euforia, disappunto, stupore… le espressioni e i suoni che emette sono un vocabolario particolare, che solo la sua mamma sa interpretare alla perfezione in ogni frangente. Ma pur senza parlare, chiunque può capirlo, perché la sua è una comunicazione piena, senza filtri. Davide comunica l’anima, comunica se stesso, e mi ricorda come la nostra comunicazione sia spesso impacciata, a volte non del tutto sincera, spesso incapace di raggiungere il cuore dell’altro, magari perché parte più dalla testa che dal cuore.

Come Maria e Davide, ogni persona disabile o sofferente che incontri parla una lingua di un altro mondo, fatta di sorrisi, di contatti, strette di mano.

Ma ora la sosta è finita, la processione delle carrozzelle e dei risciò deve ripartire per raggiungere la Grotta. 100 giovani accompagnano altrettanti disabili, anziani, malati. Ma ora non sai più chi accompagna e chi è accompagnato.